Sanremo, la piccola Pancrazia, e le canzoni come mondi

Spiaggiata sul divano, avvolta come un salame nel plaid, con la mente annebbiata dalla febbre, e la televisione a riempire il tempo e lo spazio. Sono queste le tristi condizioni in cui ho trascorso le serate di giovedì, venerdì e sabato. E così, complice l'influenza, dopo anni ho rivisto Sanremo.

Mentre sul palco si alternavano Lucio Dalla che fingeva di dirigere l'orchestra, Josè Feliciano che riproponeva l'inarrivabile "Che sarà", e Celentano che dava spazio al proprio ipertrofico ego, mi sono tornate in mente tutte le canzoni che mi piacevano tanto da piccina. Quelle già vecchie. Quelle che raccontavano una storia. Quelle che mi trasportavano nelle vite degli altri. Io le ascoltavo e ogni volta inventavo svolte improvvise nelle vicende, sottotrame e lieti fine.

Fosse dipeso da me, il protagonista di "C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones" sarebbe tornato a casa vivo, a cantare le brutture della guerra e la bellezza della pace. Non sarebbe mai diventato un cantante famoso ma avrebbe conosciuto una ragazza carina e simpatica. Avrebbero messo su famiglia e sarebbero invecchiati insieme sereni. Alla faccia di Morandi che gli voleva tanto male!
Lo straniero di "4/3/1943" sarebbe stato condannato a morte per un crimine non commesso, ma l'avrebbe fatta franca scappando di notte con il suo giovanissimo amore. Arrivati in un piccolo villaggio lui si sarebbe inventato un lavoro da pescatore e lei avrebbe imparato a cucire le reti con le mani e con i piedi, veloce come una scimmia. Bella ma pure un poco pazza.
Lo sposo di "Alice" sarebbe uscito di corsa dalla chiesa. Ma mica da solo: con la fidanzata e tutto il pancione. Lui i dubbi ce li avrebbe avuti non su di lei o sul loro amore, solo sui suoceri. Avidi e prepotenti. I due sposini mancati, ancora con i vestiti da cerimonia addosso, sarebbero saliti di corsa su un treno per costruirsi una vita e una famiglia nuove in un'altra città.


Un giorno la mia maestra delle elementari decise di insegnarci una canzone che a lei piaceva tanto. Io quella canzone lì non l'avevo mai sentita, ma mi piacque da subito. Aveva un titolo che profumava di posti sconosciuti e raccontava una storia magica. C'erano un cavaliere, una dama misteriosa ed una folle corsa.
Io, trascinata dalle note, feci il tifo per il giovane soldato che scappava, scappava per non farsi prendere dalla nera signora.
Quando il nastro terminò la maestra Egle prese subito a spiegarci il significato della canzone.
"Non si può sfuggire alla morte," ci disse, "questa è sempre in grado di trovarci!"
"Oh perdincibacco", pensai io, che per una bimba di 8 anni è l'equivalente di un "Esticazzi!"
Così elaborai di corsa una mia interpretazione. Una in cui la nera signora sarebbe stata una maga potente ma non cattiva. Una maga grande e grossa, tutta vestita di nero, con un viso bianco e tondo come la luna nascosto sotto il velo spesso. Lei, sedutasi accanto al soldato, gli avrebbe finalmente svelato le sue nobili origini e gli avrebbe donato le chiavi del castello da cui governare come principe il suo immenso regno.

A distanza di anni continuo ancora ad amare quelle canzoni, ma anche a farne vivere i protagonisti nelle mie più rassicuranti versioni.


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