Pancrazia in Irpinia (Settima Parte)

La mattina seguente venni scorrazzata in giro da WonderVivì che, con notevole pazienza e grande slancio, mi mostrò le bellezze di Ariano.
Prima di tutto La Villa: parco, cuore, vetta del luogo. O, secondo i più aridi, "unica cosa che valga la pena di essere vista".
E poi gli arroventati, assolati, trafficati vicoli che costituiscono lo scheletro portante del paese. Strade da cui si domina il paesaggio sottostante, dandoti l'illusoria idea che lì in fondo, se strizzi gli occhi a sufficienza, potrai perfino vedere il mare.

Quella mattina scoprii ciò che sarebbe diventato familiare nei giorni seguenti: la passione.
La passione degli arianesi, degli irpini, dei campani. Mettetela come preferite. A me, in realtà, non piace collocare certe caratteristiche considerando la geografia o i punti cardinali. La passione o c'è o non c'è. Al nord come al sud. Ad est come ad ovest.
Io, in quei giorni, la trovai ad Ariano.

La passione, dicevo. La passione per il territorio.
L'amore per le radici. La frustrazione di chi, una volta finiti gli studi in una grande città, decide di tornare per un poco o per sempre. Tornare per dare il proprio contributo. Far crescere il paese. Farne conoscere i tesori a chi sta fuori ma, soprattutto, a chi sta dentro. A chi sta dentro ma sembra cieco e sordo. Cieco e sordo a tutto ciò che il luogo ha da offrire. Cieco e sordo al passato, al presente e pure al futuro.
Praticamente morto.

Io, dalle radici brevi. Io, che ho sempre vissuto in una grande città. Io venni travolta dalla passione per il territorio. Dalla passione di WonderVivì. E pure da quella, scoperta casualmente, di un gruppo di quarantenni tornati alla base per far rinascere le vigne antiche della zona, coniugando la storia, propria e del luogo, con un'ottima idea imprenditoriale.

Non ci posso fare niente. E' più forte di me. 
Quando sento vibrare l'aria intorno, inizio a vibrare anch'io alla stessa frequenza. I miei neuroni a specchio si attivano. La mia anima si gonfia. Lo stomaco diventa ingordo. L'energia mi carica e mi riempie di voglia di fare.

Mi bastarono poche ore ad Ariano per sognare di far rinascere la vigna dei nonni o far restaurare quell'antica Madonna dallo sguardo triste.
E poco importava che la vigna i miei nonni non ce l'avessero mai avuta. Avevano avuto degli ulivi, ma la terra era dura e cattiva, ed era stata venduta da un pezzo.
Ed era un dettaglio insignificante anche il fatto che l'unica statua della Madonna, che sapevo aver bisogno di cure, fosse quella dello zio Filippo, che io stessa avevo fatto volar giù da un mobile, decapitando in un sol colpo madre e bambinello.

La passione, per fortuna, è come una malattia infettiva. Si trasmette e ti fa venir la febbre. Per un po' deliri. Ma poi, se resti concentrata, tutta quell'energia la puoi incanalare nella tua vita, nella tua quotidianità, nei tuoi progetti. Nelle tue vigne e nelle tue Madonne. Ne fai tesoro e la riporti a casa con entusiasmo e riconoscenza verso chi te l'ha attaccata.

La passione è come la febbre che viene ai bambini. Questi, una volta ripresisi, si alzano dal letto e scoprono i pantaloni del pigiama un poco più corti. La passione ti fa crescere. Solleva il tuo punto di vista.

Continua...

4 commenti