Je ne parle pas français

Sono anni che desidero imparare il francese.
Uno di quei sogni piccoli piccoli che hanno solo bisogno di tempo e buona volontà per essere realizzati.
Uno di quei sogni che si tengono chiusi nel cassetto "Non mi cambierebbe la vita ma mi piacerebbe tanto".
Quello incastrato tra gli ingombranti fratelli "Lo desidero da sempre" e "Sarebbe troppo bello per essere vero".

Lo scorso settembre ho dato una pulita alla vecchia cassettiera che mi porto dietro da sempre. Quella che inizia a prendere forma quando si è ancora bambini, cresce con l'adolescenza, ma poi invecchia e si riempie di ragnatele nell'età adulta. Ci si distrae un attimo e le tarme ne fanno scempio. Ci si distrae un attimo e sogni e desideri cominciano a puzzare di chiuso e stantio.

Ho tolto la polvere con un panno umido, poi ho lucidato la superficie con una vecchia pezza di lana morbida. Ho fatto un passo indietro, strizzato gli occhi, ed osservato il risultato finale con la giusta attenzione.
Uno splendore.
Vissuta ma non vecchia. Carica di possibilità. Con i cassetti semiaperti a prendere aria e regalare ispirazione.

E' stato durante questa mia osservazione che il vano meno magico e lucente ha attirato la mia attenzione. 
Mi sono avvicinata e l'ho spalancato.
Tra i tanti piccoli desideri realizzabili, il francese si è presentato per primo. Sfacciato e orgoglioso, con la schiena dritta, lo sguardo altero, e una femminilità tutta speciale dal nasino all'insù e i fianchi da donna.

E così, mossa da antico desiderio e  nuovo entusiasmo, mi sono iscritta a un corso.
Lingua francese-livello elementare.
Da quel momento è finita la poesia e cominciato l'incubo.

Voi parlate francese?
Io no e non credo che lo parlerò mai.
Ciò che mi ha sempre attirato di questa lingua era il suono elegante e musicale.
Bene, ora che la studio posso dire con orgoglio di non azzeccare un accento che sia uno.
Il francese tra denti e palato non mi scivola come la seta, ma s'incastra come lana infeltrita.
Mentre mi adopero disperatamente per sembrare Sophie Marceau, suono immancabilmente come la signorina Rottermeier.
Ebbene sì, parlo francese con un accento vagamente tedesco.
I miei neuroni si ribellano al cambiamento e si attaccano tenacemente alle antiche conoscenze e così, quando la parlata non è teutonica, tutt'al più è britannica. Ma mai mai e poi mai parigina.

E non è che l'accento sia l'unico dei miei problemi. Magari!
Ci sono i numeri.
Avete presente i numeri in francese?
Fino a 60 si scivola via tranquilli, poi comincia la follia.
70? Sessantadieci.
71? Sessantadieci-uno? No! Sessantaundici.
72? Sessantadieci-due? Ma allora siete di coccio!? Sessantadodici.
80? Sessantaventi? Vi piacerebbe! Quattroventi.
90? Non ci provate neanche, eh? Ve lo dico io. Quattroventidieci.
In un crescendo di delirio e insensatezza.

E le eccezioni?
Non esiste una regola grammaticale che non porti con sé un milione di eccezioni. Verbi, plurali, aggettivi. Ce n'è per tutti i gusti e per tutti gli incubi. Da imparare facendo esclusivo affidamento alla memoria e rinunciando alla logica.

Ok, non fate quella faccia lì, non c'è bisogno che lo diciate voi, lo so già da me.
La grammatica francese è difficile, ma del resto lo è anche quella del mio amato tedesco o, semplicemente, quella dell'italiano.
Il problema non è l'affascinate idioma d'oltralpe. Il problema sono io.
Io che non ho tempo di studiare. Io che non ho orecchio. Io che mi abbatto di fronte alle prime difficoltà.

Ma non temete.
Mi lamento ma non mollo.
Ci vorrà del tempo, ci vorrà impegno, ci vorrà pazienza.
Ma un giorno ce la farò.
Sarò poco musicale, sarò sgraziata, sarò un florilegio di sgrammaticature.
Ma supererò l'imbarazzo e comincerò a parlare francese.

Lo farò.
Parbleu!

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